Gli imprenditori coraggiosi, Claudio Luca tra imprenditoria e passioni si racconta

La redazione di Antenna Uno Notizie intraprende un viaggio sul territorio siciliano, alla scoperta delle realtà coraggiose e virtuose che convivono con un territorio ricco di risorse ma anche problematiche complesse, logistiche e non soltanto. Isola vivace e contraddittoria la Sicilia, turismo ed “emigrazioni” segnano il passo e il percorso di chi quotidianamente lavora per valorizzare un patrimonio unico. Nelle difficoltà, emergono delle eccellenze da prendere in esempio.

Incontriamo Claudio Luca, vulcanico imprenditore catanese radicato nel territorio di Bronte, con un amore viscerale per il calcio e un istinto innato che ha caratterizzato la sua ascesa. La sua azienda, Bacco, produce prodotti tipici siciliani d’eccellenza, Luca ha rilasciato in esclusiva un’intervista ai nostri microfoni toccando diversi argomenti, tra la cronaca e non soltanto. L’imprenditore etneo ha raccontato il suo percorso dagli inizi fino ad oggi aprendoci le porte del suo stabilimento. Ringraziamo Claudio Luca per la disponibilità e la cordialità.

Ci puoi raccontare la storia di questa azienda che ormai diventata lunga e importante. Da cosa nasce, da quale spirito anche creativo di voler valorizzare il territorio e poi come si è sviluppata questa storia che è intreccia volontà imprenditoriale, capacità di marketing e comunicazione. Tanti aspetti si intrecciano tra questi anche difficoltà logistiche.

“La storia è abbastanza semplice. Inizia nel 2004/05 quando da semplice studente universitario, finendo Giurisprudenza, c’era il bivio fatidico di dover andare all’estero, al Nord Italia o di provare a far qualcosa qui. Ovviamente essendo di Bronte, riflettendo e guardando questi alberi di pistacchio mi sono detto perché non si può fare impresa qui? Chi l’ha detto che le imprese devono essere solo al Nord o soltanto estere e che sull’Etna, in Sicilia, non siamo in grado di fare qualcosa. Avendo soprattutto le migliori materie prime, per le quali meno si toccano, meno si utilizzano ingredienti e più il prodotto riesce buono e riconosciuto come tale. Allora nel 2005, a 25 anni, nasce questa avventura ma senza sapere perché, come fare e dove ci avrebbe portato questa strada. Quindi con tanto sacrificio si inizia. Come? Studiando qualche ricetta, chiedendo qualche consiglio ad alcuni tecnologi alimentari. Partiamo da un piccolissimo laboratorio e si comincia a proporre il prodotto al vicino, al piccolo ortofrutta, alla piccola sagra del paese e piano piano si alza il tiro cercando sempre di portare lavoro. All’inizio eravamo solo 2/3 persone tra laboratorio, consegne, uffici e quant’altro. Finché ci siamo strutturati dopo mille errori e sbagli incappando anche in un periodo economico difficile per iniziare un’attività economica qui in Sicilia, perché venivamo dall’effetto Euro, poi c’è stata la crisi del sistema bancario e la crisi mondiale, però questo ci ha fortificato perché si riesce a strutturarsi meglio proprio in un periodo complicato. Noi gli anni belli del boom economico non li abbiamo mai vissuti quindi per noi era normale fare le cose perbene, cercare di essere perfetti e di essere precisi perché è proprio una richiesta che il mercato faceva. Comunque tra mille avventure e mille peripezie devo dire un po’ per fortuna un po’ per merito dei miei ragazzi siamo riusciti ad ingrandirci e ad andare avanti nel cercare di proporre il made in Sicily non solo come prodotto per il turista che viene una settimana ad agosto ma di poter restare sulle tavole dei consumatori. Piano, piano tra fiere fatte prima al Nord poi all’estero, il nostro mercato si è ampliato fino a raggiungere oggi 68 nazioni e 5 continenti”.

Il punto di forza ad un certo punto è stato esportare fuori e sembra quasi che il territorio stia un po’ stretto a questa attività. Il territorio è la risorsa principale però da un certo punto di vista è diventata anche un limite?

“Considerate che il nostro 60/70% di fatturato ricade tutto sul territorio tra stipendi, tasse, fornitori di pistacchio ed altro ancora. Solo che già ci troviamo in una Regione non florida, non ha un mercato molto ricco. In questi 15 anni tante catene di grande distribuzione sono fallite, tanti gruppi sono saltati ed è tutto danno che viene incontro all’azienda e nessuno ti tutela e protegge. È chiaro che sei costretto a rivolgerti ad un mercato estero anche se vuoi crescere e dare lavoro. Altrimenti ti dovresti limitare alla concezione di lavorare solo tu, tua moglie e altre due persone e farti due mercatini. Per carità va bene ma se vuoi crescere devi per forza rivolgerti all’estero”.

Al vostro lavoro in fase di produzione è stata abbinata anche una strategia di marketing veramente importante.

“La nostra fortuna è stata una: essere ignoranti e profani. Non avendo papà, mamma o nonni in azienda, noi siamo stati liberi di sbagliare e sperimentare. Non abbiamo avuto degli schemi o delle mentalità antiche da seguire. Per cui abbiamo cercato di fare qualcosa di originale, studiando e cercando di stravolgere la concezione dell’alto valore del prodotto tipico che poi è una definizione che non significa nulla, tutti i prodotti sono tipici. Noi cerchiamo di produrre un prodotto dalla qualità costante per l’alto valore che possa essere consumato abitudinariamente dal consumatore italiano e non solo”.

Al di là della scelta imprenditoriale che hai fatto, sei sempre stato legato al territorio?

“Essendo nato a Catania e cresciuto a Bronte, sono legato a questo territorio. Le amicizie, i parenti e le conoscenze sono qui. Anche perché qui è casa nostra. Andare a produrre fuori, all’estero, significa che sarai sempre uno straniero, in terra straniera. Poi, un po’ appassionato del territorio e legato a tante cose, era bello scommettersi qui. Andare all’estero magari significava ingrandire una multinazionale che nel momento di crisi ti avrebbe dato il ben servito e amen. Vuol dire essere un numero di un sistema. Qui, invece, più che imprenditori siamo artigiani. Siamo gente che un minuto sta in ufficio, uno in magazzino, un altro nel furgone a fare le consegne perché oggi non puoi, soprattutto in Sicilia con le difficoltà geografiche che abbiamo, dire io sono il manager, lui è l’assistente, qua dobbiamo fare tutto e tutti 7 giorni su 7”.

Abbiamo seguito le vicende legate allo stabilimento di Cesarò e al Comune. Ci può dire qualcosa?

“Noi abbiamo in questo momento due capannoni: uno con un contratto di 20 anni e uno con un contratto annuale. Noi paghiamo due affitti, ci siamo accollati tutto il costo dei lavori e non solo perché questa era una zona artigianale che prima dava lavoro a zero persone. Non c’era allacciamento idrico, elettrico, gas e neanche il telefono. Abbiamo speso tutto noi. Oggi diamo lavoro a 52 persone in un paese di 2500 abitanti. Sul secondo capannone, visto che noi stranamente siamo l’unica azienda che cresce e vuole assumere al contrario di tante aziende che chiudono e vanno all’estero, abbiamo bisogno di avere un contratto quantomeno di 20 anni per poter investire, aumentare la produzione e assumere altre persone. Purtroppo con un contratto ad un anno noi non possiamo investire e di conseguenza nemmeno assumere. Se dobbiamo crescere abbiamo la necessità di trovare soluzioni alternative. Abbiamo fatto sei manifestazioni di interesse al Comune. Abbiamo portato tutte le richieste a disposizione e siamo disponibili a qualunque confronto. Ma ovviamente ogni volta la cosa cade nell’oblio, non si capisce il motivo e non si riesce ad avere un incontro chiaro assieme alle parti per trovare una soluzione. È ovvio che avendo più richieste di quelle che riusciamo a produrre, oggi non posso rinunciare a contratti o a clienti o a esportazioni. Quindi significa o trovare anche un altro stabilimento nell’hinterland o non so, vediamo perché comunque è un paradosso”.

Ci sono delle realtà, invece, che a proposito di questo si sono fatte avanti per sostenere, per aiutare, per offrire magari una soluzione alternativa?

“Le soluzioni alternative per noi sono comunque in un raggio di 15/20 km. Non possiamo né andare dall’altro lato della Sicilia, né avere due stabilimenti che siano troppo distanti fra di loro. È chiaro che noi oggi essendo l’unica realtà lavorativa della zona, siamo l’unica speranza per questi ragazzi del paese che abbiamo noi formato e creato perché qui non sono arrivati tecnici della Ferrero, della Perugina o della Bauli. Qua siamo tutti ragazzi che ci impegniamo sbagliando e con tanta buona volontà. Noi cerchiamo di fare qualcosa di bello. Oggi abbiamo 52 ragazzi, produciamo 64 referenze in 4 formati diversi e se vedete la sfilza di premi non è presente nemmeno uno al di sotto di Roma: sono tutti presi o all’estero o al Nord d’Italia. Purtroppo io capisco la richiesta della politica che non collima con quelle aziendali. Noi abbiamo bisogno di velocità e di tempi certi. Poi si vede, poi faremo, poi sentiamo ma il tempo passa e c’è una distanza fra il privato e il pubblico. Ecco perché questa terra, la Sicilia, non si riesce mai a risollevare”.

Quali sono le sue ambizioni e i suoi progetti futuri non soltanto da imprenditori ma anche uomo?

“I progetti futuri sono legati intanto alla stabilità e quindi alla possibilità di investire. Noi già l’anno scorso avevamo pronti una serie di investimenti per poter aumentare la produzione e fare nel secondo capannone tutta una serie di logistiche all’avanguardia. Ovviamente non è stato possibile fare lavorare aziende e assumere personale. Quindi siamo un po’ legati a questa vicenda che ancora non si riesce a sbloccare. Il procrastinare di un anno il problema non è una soluzione ma è un palliativo solo per deviare l’attenzione. Poi i progetti sono di guardarsi attorno perché le scelte in economia sono due o raddoppi i prezzi e quindi ti fai abbassare la produzione o altrimenti vedi dove andare a produrre. Oggi le aziende nostre, belle aziende ma comunque con metri di dimensioni piccoli, sono anche legate all’andamento dell’economia. Anche in questi giorni l’effetto Coronavirus sarà un effetto che noi subiremo a livello economico nei prossimi mesi. Considerate che noi il 7 marzo dovevamo essere in Giappone per il Foodex ma il governo giapponese ci ha contattato dicendo che la manifestazione non si farà più e forse sposteranno anche le Olimpiadi. Tutte una serie di manifestazioni come il Cibus a Parma, il Vinitaly sono in questo momento con il punto interrogativo. Poi dovremmo andare diverse volte all’estero ma in questo momento l’italiano fuori non è neanche visto tanto bene. Quindi si aprono degli scenari un po’ particolari, sentendo anche clienti nelle zone turistiche stanno ricevendo già tante disdette e questo significa meno lavoro per tutti. Poi insomma credo che questa bolla passerà come tutte le cose e la dimenticheremo presto”.

Un’altra tua passione è sicuramente lo sport, e il calcio. Ti abbiamo conosciuto negli anni anche attraverso l’aiuto che hai dato come partner. Sul Catania ti chiedo se anche questo è un percorso che parte da lontano e che emozioni ti ha dato essere stato negli anni un supporto per questa società?

“Considerate che la passione nasce da mio nonno, trasmessa a mio padre e poi trasmessa a me. La prima partita io l’ho vista nell’1981/1982 quando avevo 3-4 anni. Andavo allo stadio con le macchinine a seguire il Catania che era a quei tempi in Serie B, poi quello di Di Marzio che sarebbe andato in Serie A. Per questo al Catania sono legati i ricordi più belli: quando andavo allo stadio con mio padre che da diverso tempo non c’è più quindi. Io ricostruisco tutti i miei anni della mia vita, dalle scuole elementari fino ad oggi, in base ai campionati del Calcio Catania. Per cui per me è più che un amore. Oltre ad averlo seguito in casa, e tantissime volte anche in trasferta, è una parte portante della mia vita”.

Negli anni passati ti abbiamo visto da imprenditore che ha voluto provare ad avvicinarsi a salvare il Catania con una manifestazione di interesse, ormai posta nel dimenticatoio. All’epoca quanto ci sei rimasto male per questa vicenda che non è andata a buon fine?

“Non è una questione di rimanerci male. Tu nel business puoi fare delle proposte, poi possono essere accettate o meno, prese in considerazione o no. Ai tempi era un piccolo gruppetto abbastanza solido e agguerrito con alle spalle due istituti bancari che avevano dato l’avallo alla trattativa. Per carità uno può presentare una proposta che può interessare o meno ma nell’ambito degli affari ci sta. Per cui non è nessuna offesa. Ovviamente quella è stata una piccola parentesi che si è aperta e chiusa lì. Oggi stiamo un pochettino a guardare e a sperare che le sorti del Catania si possano risollevare”.

Santo Spartà

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