Coronavirus, l’Unione Europea prende tempo: la risposta che non c’è e l’incubo di Ventotene

Europa; Consiglio Europeo
La diffusione del Coronavirus continua a destare ansia e preoccupazione, sia dal punto di vista sanitario e della salute pubblica, specie nei paesi più colpiti come l’Italia, che dal punto di vista economico. Il protrarsi di questa emergenza, che porta con sé misure drastiche e limitazioni delle libertà individuali e collettive, fa emergere all’orizzonte, anzi avvicina sempre di più, il timore di una crisi economica, di una possente recessione che potrebbe colpire stati, imprese, famiglie e cittadini già messi in ginocchio dal Covid-19.

Guardando all’Europa risulta evidente come, al di là dei provvedimenti ad hoc presi dalle varie nazioni, sia necessaria una riposta univoca, poderosa e lungimirante da parte delle istituzioni continentali. La cronaca degli ultimi giorni, d’altra parte, è stata scandita da dibattiti e scontri proprio su questo tema: l’intervento della UE tramite l’attuazione di provvedimenti straordinari che corrano in soccorso degli stati membri, sia nell’immediato che per il futuro. Le novità, emerse dal vertice fiume del consiglio europeo andato in scena ieri, raccontano di un compromesso. Nel documento approvato da tutti e 27 i membri, infatti, non è citato il MES (meccanismo europeo di stabilità), ovvero il fondo che prevede interventi economici in favore di stati in crisi, regolati però da clausole e criteri di grande rigidità, ma non si prevede nemmeno il ricorso ad uno strumento di debito comune. L’Unione Europea, quindi, decide di prendersi ancora tempo, due settimane per l’esattezza, allo scopo di decidere il da farsi.

Respinta seccamente, almeno per il momento, l’ipotesi Coronabond, cioè quel meccanismo che, qualora fosse approvato, determinerebbe la spartizione, tra i vari stati membri, del debito accumulato da uno di questi per attuare le misure economiche straordinarie richieste dall’emergenza Covid-19. A richiedere l’introduzione dei Coronabond sono Italia, Francia, Spagna, Irlanda, Belgio, Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia. A fare fronte comune, però, ci sono i cosiddetti rigoristi, ovvero le nazioni del nord guidate da Germania, Austria, Olanda e Finlandia. Tale strumento, al di là delle considerazioni di parte e delle posizioni assunte, sarebbe in fondo la logica attuazione di quello spirito di solidarietà e cooperazione sognato dai padri fondatori dell’Unione Europea. L’indirizzo preso dalle istituzioni continentali, però, specie negli ultimi anni, sembra di segno totalmente opposto: se gli obiettivi del Manifesto di Ventotene, da un punto di vista meramente burocratico ed organizzativo sono diventati realtà, quelli relativi all’aspetto ideologico, a quella paventata unione, quasi spirituale, tra gli stati membri, sembrano rimasti lettera morta. L’Europa delle  Nazioni, insomma, è un traguardo ancora lontano, specie quando prevalgono altre istanze, lontane anni luce dall’interesse pubblico del Vecchio Continente. Basti pensare che, ad esempio, la momentanea sospensione dei vincoli del patto di stabilità è stata dipinta come un traguardo straordinario.

Il sostanziale immobilismo dell’Unione Europea, d’altronde, è figlio dello spiazzamento della stessa, visto che l’emergenza Coronavirus e la sua gestione, hanno messo in crisi paradigmi quasi dogmatici per l’intera civiltà occidentale e, quindi, anche per la UE. Come, ad esempio, l’indirizzo economico neo-liberista e il dominio del mercato, che negli ultimi decenni l’hanno fatta da padrone, assoggettando, per lo meno in quel di Bruxelles e Strasburgo, anche le forze social-democratiche, quelle cioè che, sulla carta, avrebbero dovuto fare da contraltare. Ma, d’altra parte, è opinione ormai parecchio diffusa quella del ridisegnamento dei tradizionali equilibri politici, delle contrapposizioni che hanno differenziato per secoli la politica occidentale. Non a caso, il fronte d’opposizione a certo europeismo duro e puro, è quantomai variegato ed eterogeneo. Un fragile equilibrio, quindi, quello che regge l’architrave istituzionale di un’Europa chiamata a dare risposte in una situazione che, prima o poi, potrebbe determinarne il crollo definitivo ed inesorabile.

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