Giornata Mondiale del Teatro e Coronavirus, Saitta ad A1N: “Finita l’emergenza non sarà semplice ma…”

Il mondo del teatro si ferma davanti all’aggressività di un virus che non fa sconti a nessuno. Oggi è la Giornata Mondiale del Teatro e l’attore catanese Eduardo Saitta racconta ai microfoni di Antenna Uno Notizie i significati profondi che il palcoscenico assume anche in questi momenti così particolari, le conseguenze che questo periodo porterà con sè per le strutture teatrali provando ad immaginare, per quanto possibile, cosa avverrà quando l’emergenza sarà finalmente conclusa.

Teatro al tempo del Coronavirus. Come viene vissuto questo momento?

“Il teatro vive un momento di fermo, così come tutte le altre attività che non producono beni di prima necessità perché la cultura non è mai stata considerata dagli italiani e dal mondo intero un bene di prima necessità. Pensiamo a mangiare e a non prendere peso ma rischiamo di perdere la nostra cultura: teatri fermi, librerie chiuse… tutto quello che concerne l’arte in genere riposto in un cassetto, almeno per il momento. Noi però abbiamo una fortuna, quella di trasmettere il teatro in televisione. Abbiamo questa finestra aperta per arrivare alla gente”.

Il rapporto tra la gente e il teatro quando l’emergenza sarà finita potrebbe cambiare? Ci sarà bisogno di abbracciare la realtà anche con un tocco di fantasia e creatività che solo il teatro sa regalare…

Non sarà semplice riapprocciarsi al pubblico. Secondo me se domani dovesse finire l’emergenza, dopodomani la gente non correrà al teatro, al cinema e non riempirà le sale. Questo è fuor di dubbio. Non abbiamo nulla da inventarci perché il nostro abbraccio al pubblico è fisico, nel senso che ci sono 10 attori sul palcoscenico e a 5 metri da loro c’è una platea con 800 persone. Quindi possiamo inventarci solo i teatri all’aperto ed eventualmente aspettare l’estate e potere pensare a qualcosa di estivo. Il motivo? L’emergenza Coronavirus resterà comunque un trauma psicologico nella gente che avrà diffidenza ad entrare in un posto chiuso. Però con gli applausi se abbiamo il virus nelle mani lo «scafazziamo» (schiacciamo in siciliano, ndr), quindi più applausi più virus sconfitti” (dice sorridendo, ndr).

Il teatro, prima del Coronavirus, era un settore in crisi ma quando tutto va male il mondo artistico sa far leva sul sociale. Sarà una rivoluzione per il vostro settore?

Il mondo del teatro non era in crisi, quando si parla di crisi si deve analizzare bene chi lo è. Se citate il Teatro Massimo Bellini che percepisce 6/7 milioni di euro l’anno e vive di contributi pubblici e poi non sono abbastanza perché un tenore costa 300mila euro a spettacolo, allora quello è un teatro in crisi. Un privato che fa i conti con le proprie tasche, seppur con un numero abbastanza congruo di abbonamenti come nel nostro caso, non fa mai il passo più lungo della propria gamba. Senza percepire contributi statali e regionali, vivendo solo di abbonamenti. Per cui chi gestisce come un buon padre di famiglia non è in crisi. Lo sono quelle strutture che vivendo di sostentamento pubblico sono malgestite”.

La Sicilia e i teatri, intesi come strutture. Una sua panoramica su questo aspetto. 

A Catania tutti quanti, bene o male, vivono di un contributo anche se piccolo, regionale o statale. Chiaramente non tutti gestiscono male, io parlo delle strutture pubbliche. Però ci sono quei privati nella città etnea che sopravvivono a questo blocco. Sono vicino a chi gestisce i teatri, naturalmente. Ovviamente la struttura di un teatro tenuto chiuso si logora prima di una in uso. Non saprei cosa sarà dopo. Questa pandemia è stata talmente violenta… Basti pensare che prima, uscire per 10 minuti e andare a fare la spesa a Catania in via Vincenzo Giuffrida era impossibile alle 10 del mattino per cui quando oggi la via a quell’ora è deserta inevitabilmente ti chiedi cosa stia accadendo. Non saprei mai immaginare il dopo onestamente. Se dovessi usare un po’ di fantasia potrei dire che i catanesi ad un certo punto potrebbero dire: «ci siamo svegliati, abbiamo dormito un mese e mezzo, abbiamo fatto quest’incubo bruttissimo ma sai cosa ti dico? Ritorno a teatro, rivado al cinema e mi vado a comprare un abito». Io spero che succeda questo»”.

 

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