Coronavirus, tra l’emergenza sanitaria e quella economica: i rischi per cittadini e imprese

Crias; PNRR

Lo stop forzato a gran parte delle attività produttive nazionali, imposto dalla diffusione del Coronavirus, ha determinato e sta derminando una serie di difficoltà legate all’aspetto economico ed alla sopravvivenza di cittadini, famiglie ed imprese, che si uniscono ai rischi sanitari e da contagio. Le misure attuate dal governo, tramite il decreto Cura Italia, non sono ancora del tutto effettive.

Gran parte delle imprese sono ormai ferme da oltre 15 giorni e, se gli aiuti statali ancora non si intravedono, le prospettive appaiano sempre meno positive, specie in un contesto socio-economico come quello che si vive in Sicilia. Le risoluzioni dell’escutivo sono andate incontro a numerose e decise critiche, come quelle portate avanti da Sicindustria:

Una farsa. Il decreto che doveva tamponare l’emergenza di un Paese in difficoltà non è altro che una farsa. Nessun aiuto concreto alle imprese. Soldi a destra e sinistra, contributi sparpagliati senza criterio. Non un piano, non un programma per sostenere organicamente la produzione italiana. La cig non stanzia le risorse necessarie, complessivamente 1 miliardo e 300 milioni per tutta l’Italia, fondi che potrebbero bastare per non più di 400 mila dipendenti. Si tratta dunque di un bluff. Inoltre impone inutili consultazioni sindacali come se ci fosse da discutere. Le aziende con più di 2 milioni di fatturato non hanno ottenuto alcuna sospensione, di fatto, per quanto riguarda il pagamento delle imposte, dei contributi previdenziali e dell’IVA. Non è prevista la sospensione degli adempimenti legati ad appalti e subappalti e il differimento dei termini di versamento dei carichi affidati all’agente della riscossione è irrisorio. Mentre il Governo annuncia a gran voce la sospensione dei termini per il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali l’Inps fa esattamente l’opposto e sollecita il versamento. Ancora più grave è l’approccio superficiale del governo nel promettere bonus una tantum a professionisti, partite Iva, commercianti senza una copertura finanziaria adeguata generando una serie di click day finalizzati ad escludere la maggioranza dei potenziali richiedenti”.

 

Il presidente di Confcommercio Sicilia Francesco Picarella, intervenendo sulla spinosa questione, ha anch’egli avanzato delle critiche. Degna di nota la missiva inviata al governatore Musumeci, nella quale si chiede un incontro al “primo cittadino siciliano” per delineare una tabella di marcia:

“Si faccia in fretta per cercare di salvare il salvabile. Molte sono le imprese della nostra isola che, dopo questo periodo di emergenza sanitaria, si troveranno alle prese con un’altra emergenza, quella di mantenersi in vita. E non sarà un affare semplice. Anzi, comincerà un’altra battaglia per certi versi molto più dura. In cui ci sarà bisogno del sostegno delle istituzioni per evitare che siano mietute vittime di altro tipo, mandando a gambe all’aria un’economia, quella siciliana, per molti versi già precaria. Possiamo ipotizzare una perdita nell’ordine di 3-4 miliardi di euro con riferimento al consumo delle famiglie nella nostra isola. Stiamo affrontando la chiusura della saracinesca con la responsabilità di chi, chiudendo, sa di contribuire a uno sforzo straordinario per contenere la diffusione dell’epidemia non dimenticando la responsabilità di chi resta aperto per assicurare la distribuzione di generi alimentari e di prima necessità. Il fatto, però, è che restare a casa non può e non deve significare la rovina. Servono aiuti e risorse straordinarie, naturalmente più di quanto non sia già stato fatto”.

Il governo regionale ha già mosso i primi passi stanziando 30 milioni di euro come contributo sugli oneri per interessi e le spese di istruttoria per i finanziamenti. Un’iniziativa che, attraverso il cosiddetto “Fondo Sicilia”, gestito dall’Irfis, ovvero la Banca Regionale, determinerà una liquidità di circa 600 milioni di euro per le imprese isolane. Ognuna di queste potrà chiedere un credito di esercizio per un massimo di 100.000 euro per un periodo di 15 mesi, di cui almeno tre di pre-ammortamento.

Da registrare altresì la delicata posizione delle professioni ordinistiche, escluse dai benefici previsti nel “cura Italia”. In un incontro promosso da CUP ed RPT i rappresentanti di 21 ordini professionali hanno deciso di fare fronte comune, sostenendo che “Il Decreto Cura Italia ha deliberatamente ignorato i professionisti ordinistici, non riconoscendo il ruolo svolto da ben 2,3 milioni di professionisti italiani. Così facendo il Paese rischia di pagare un prezzo altissimo, soprattutto quando arriverà il momento di rimetterlo in piedi”. Dal vertice, oltre alla “levata di scudi” contro le decisioni del governo, è scaturita la decisione di elaborare un pacchetto di proposte unitarie, che determini poi l’elelaborazione di un “Manifesto delle professioni” tramite il quale, i 2,3 milioni di lavoratori in questione, potranno interfacciarsi con l’esecutivo Conte per aprire un’importante interlocuzione.

Anche i lavoratori autonomi, infine, hanno fatto sentire la propria voce. Una situazione, dunque, davvero complicata che impone soluzioni coraggiose e di ampio respiro, da attuare al più presto per cercare di venire in soccorso di tutte quelle categorie di lavoratori che garantiscono il futuro del Paese.

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